Alfano nega la trattativa stadio-mafia. Slitta il piano “Roma Sicura”

trattativa stadio mafiaIl ministro dell’Interno Angelino Alfano si presenta alla Camera per riferire sui tragici fatti accaduti a Roma sabato scorso, giorno della finale di Coppa Italia, ma decide di negare tutto. Negata la presunta trattativa intercorsa tra i rappresentanti dello Stato e gli ultras del Napoli, nella persona di Genny ‘a carogna, per decidere se far giocare o meno la partita Napoli-Fiorentina. Negata ogni negligenza dei responsabili dell’ordine pubblico che in mondovisione sono invece apparsi disorientati, incompetenti e in balia del Nuovo Masaniello durante quella che è stata definita la trattativa stadio-mafia. Negata persino l’affidabilità della prova dello stub a cui è stato sottoposto Daniele Gastone De Santis, accusato di essere il giustiziere di Tor di Quinto. L’esito era stato parzialmente negativo, ma Alfano sposa in toto la teoria del “risultato non dirimente” avallata dalla polizia.

Intanto il “povero” Gennaro ‘a carogna De Tommaso si è visto rifilare 5 anni di Daspo senza avere nessuna colpa ma, al contrario, avendo dimostrato di saper assicurare l’incolumità di decine di migliaia di persone con la sola imposizione delle mani. La scritta Speziale Libero, mostrata con orgoglio sulla maglietta da Genny durante la trattativa con Marek Hamsik e gli agenti della Digos, non può infatti essere sanzionata dalla legge italiana come un “incitamento alla violenza” meritevole di esilio dagli stadi ma, tutt’al più, dovrebbe essere considerata una censurabile e vergognosa manifestazione di solidarietà ad un detenuto per omicidio (quello dell’ispettore di polizia Filippo Raciti durante la partita Catania-Palermo del 2007).

Una condanna morale e non penale, dunque, quella da emettere. Per non parlare dell’”invasione di campo” che Genny ha effettuato proprio perché “convocato” dallo Stato (rappresentato nel caso dalla cresta di uno slovacco). Difficile provare il ricatto della curva napoletana senza ammettere anche la trattativa, soprattutto di fronte ad immagini inequivocabili. Fatto sta che gli alti papaveri delle Istituzioni, hanno fatto pagare ad un innocente il prezzo della loro inadeguatezza. Che poi Genny ‘a carogna sia legato alla camorra è un altro discorso, da aule giudiziarie.

Insomma, le responsabilità che ricadono su Alfano sono gravi e si sommano a quelle del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, del questore Massimo Maria Mazza, ma anche del premier Matteo Renzi e del presidente del Senato Pietro Grasso, presenti allo stadio Olimpico e apparsi inebetiti, quasi ammirati al cospetto del carisma politico mostrato da Genny ‘a carogna.

I fatti di Roma hanno prodotto un cortocircuito di Potere. A caldo, infatti, Alfano in versione elettorale Ncd aveva promesso il Daspo a vita e un piano immediato per “Roma Sicura”. Presentazione del piano prevista mercoledì mattina, ma rinviata sine die per motivi di opportunità politica. Il ministro dell’Interno, ancora sulla graticola per il caso Shalabayeva, voleva tentare di imporre un giro di vite sull’ordine pubblico nella Capitale, approfittando del polverone mediatico scatenato da Genny e Gastone. Un pacchetto di norme che avrebbe scacciato dal centro di Roma le tanto temute manifestazioni dei movimenti per la casa (la prossima il 12 maggio).

“Intendiamo fare della Capitale una città esempio di sicurezza” aveva promesso Alfano, ospite di Quinta Colonna lunedì e su La Telefonata con Belpietro martedì, concludendo poi dicendo che “non possiamo violare il precetto costituzionale della libera manifestazione del pensiero, ma non tollereremo i saccheggi e il rischio della vita per le forze dell’ordine”. Un vero e proprio bavaglio alla libertà di manifestare ritirato, per il momento, dopo la bocciatura arrivata dal Guardasigilli Andrea Orlando e il freno imposto dallo stesso Renzi. Un tentativo di inasprire lo scontro tra piazze e polizia che non è piaciuto per niente nemmeno al “moderato” capo della Polizia Alessandro Pansa. Di fronte a questo disastro organizzativo l’unica parola che dovrebbe venire in mente è dimissioni. Di Alfano, come di qualcun altro. Ma da quell’orecchio nessuno della casta ci sente.